Qualche volta la distanza diventa un valore, apre una seconda vista che l’eccessiva prossimità e familiarità negano. È il caso di Inge Lise Rasmussen, danese di nascita e formazione, ma senese di adozione da parecchi decenni. Docente universitaria di lingue straniere ed esperta traduttrice, Inge Lise deve aver passato parecchi anni a imparare a conoscere, ad amare e a far propri i colori, le linee e le luci del paesaggio che stava davanti ai suoi occhi, certo con il filtro della cultura figurativa toscana e con il confronto del panorama europeo. Con discrezione, in silenzio. Poi, rapidamente, è passata alla tavolozza, nella quale gli alberi mediterranei si caricano di sfumature nordiche, i profili di uccelli (gru danzanti, pennuti acquatici, rapaci) e di figure umane (cantanti, attrici, visi vagamente clowneschi, maschere) non sembrano immemori degli arabeschi fantastici dell’amato Hans Christian Andersen, anche se nella mostra che si apre ai Magazzini del Sale di Siena non mi pare ci siano citazioni esplicite del grande autore di fiabe, che a sua volta fece un viaggio in Italia e ne riportò impressioni decisive.
La tecnica mista cara a Rasmussen le permette di non definire troppo i contorni di ciò che è raffigurato, mentre accarezza l’anima colorata del mondo, sia che si tratti di scorci di campagna, di fiori, di alberi, sia che ad affacciarsi alla nostra “seconda vista” venga un’immagine di persona.
Mi sbaglierò, ma mi pare che la provenienza amatoriale del lavoro pittorico di Inge Lise le abbia dato un gran vantaggio sui professionisti precoci: quello di far danzare il pennello tra cultura e impressione di prima mano, tra Gauguin o Macke o Cézanne, ai quali è dedicato qualche omaggio, e un intreccio affascinante tra Nord e Sud, betulle invernali e olivi dal grigio-argento perenne, tulipani e papaveri, sottotono di boschi umidi e tripudio di colori solari.
Il drappellone dipinto per il Palio 1995 di Casole d’Elsa, con le spighe e i fiori della campagna senese, può così dialogare senza contraddizioni con gli spunti “esotici” di un viaggio in Turchia; le solitarie case rurali di Toscana si possono affiancare a una Venezia un po’ stralunata, con la sua processione purgatoriale di passanti.
Questa è l’Europa di inizio Millennio: un continente dalle tradizioni comuni, un mondo estremamente cangiante e terribilmente fraterno al suo interno, che Rasmussen raffigura nella presente esposizione con sensibilità, intelligenza ed eleganza di forme, quasi a significare l’integrazione armoniosa della piccola comunità danese trasferita nella città di Siena.
Maria Antonietta Grignani
Docente di Linguistica Italiana
presso l’Università per Stranieri a Siena
e Assessore alla Cultura del Comune di Siena
Ottobre 2005
COLORI VIVACI E SMAGLIANTI
L’uomo viandante nel mondo è accompagnato dalla sua memoria, dalla sua esperienza e dalla sua cultura. La nostra pittrice viene dal nord europeo e porta, nella nostra civiltà solare, il prezioso messaggio di una civiltà lontana ricca di miti e di vissuti introspettivi. Inge Lise Rasmussen, infatti, con i suoi componimenti pittorici, realizzati con tecniche miste, ci apre le porte di un mondo nascosto, dove le immagini oniriche dei sogni incantati si fondono con le speranze e i desideri di impulsi istintivi, di natura creativa, aperti ad una ricerca di autenticità misteriosa. In questo contesto, la sua tavolozza, composta di colori vivaci e smaglianti, formula messaggi attraverso i registri pittorici di un linguaggio che beneficia del vantaggio di effetti contrastanti nei quali la semplicità si trasfonde nella complessità.
La nostra pittrice si serve di paesaggi e di ambienti prevalentemente montani, allo scopo di comunicare i suoi vissuti idilliaci di sogni solari immersi nella civiltà connotata dagli elementi naturalistici che caratterizzano i territori del nord. Nei suoi componimenti, la luce e il colore trionfano, emergendo prepotentemente dalla nebbia e dal buio di un’atmosfera invernale in cui la primavera e l’estate, nella loro intensa brevità, sbocciano in colori smaglianti e in manifestazioni vivaci. In queste espressioni, la vita trionfa e la gioia sovrasta la melanconia nostalgica dell’esistenza umana.
Nei quadri della nostra artista le montagne, le case e le composizioni arboree, nonché le figure umane appena abbozzate, si stagliano, con il loro cromatismo e con le loro forme lineari, su un cielo il cui azzurro profondo accompagna la musicalità serena del tripudio festoso delle stagioni. Nelle sue originali modalità espressive vengono manifestati, quindi, i suoi vissuti esistenziali in un desiderio, in parte utopico e in parte sognante, di semplificare e chiarificare simbolicamente il mistero dell’esistenza umana. D’altronde, le composizioni pittoriche della mostra Percorsi di colore delineano una certa qual continuità di un itinerario costante di produzioni artistiche, che ha caratterizzato l’intera produzione degli ultimi decenni di Inge Lise.
In conclusione, è senz’altro da tener presente che, mentre la sua produzione pittorica è costantemente accompagnata da un’attività culturale, svolta sul piano linguistico nelle sue attività accademiche, le immagini dei suoi quadri si liberano singolarmente dall’erudizione culturale, per raggiungere l’ingenuità e la spontaneità eloquente di una comunicazione profonda di vissuti esistenziali che, nella sintonia del colore, privilegia i silenzi meditativi delle immagini che evocano sentimenti musicalmente manifestati nel contesto espressivo, connotato di arcano, delle rappresentazioni iconiche.
Aurelio Rizzacasa
Docente di Storia della Filosofia
presso l’Università di Perugia
Settembre 2005
ALBERI
Pochi artisti sanno esprimere il mistero della natura così come traspare nelle opere della pittrice Inge Lise Rasmussen, un’artista che ha la fortuna di poter unire il fascino del paesaggio del Nord Europa con le più rasserenate e dolci prospettive dell’ambiente mediterraneo.
Così, se da un quadro immerso nell’ombra di alberi gremiti entro spazi incontaminati sembra ad ogni pennellata uscir fuori un elfo o un folletto, i colori sbocciano in tinte calde allorché la tavolozza, al pari di una vela, salpa verso le assolate sponde dei nostri mari.
Il bosco, enigma e simbolo di ogni popolo e cultura, tempio sacro per gli antichi, assume negli acquerelli della Rasmussen un tono soavemente incantato, laddove la favola, però, è intrisa di una bellezza un po’ infida, di una letizia che sa tramutarsi in dolore.
Non a caso, parlando di Danimarca – la nobile terra di nascita della pittrice –, si ricordano le fiabe di Andersen, ma anche il dramma di Amleto.
Tutto, la gioia come il rimpianto, si mischia fra i silenti alberi di Inge Lise. Raccogliamo questo pacato invito alla riflessione, consapevoli che sotto l’apparente calma dei rami cova l’incendio e che nell’anima di foglie appena mosse dal vento sfavilla la cenere.
Riccardo Benucci
Poeta
Febbraio 2004
“ALBERI”, UNA MOSTRA CONSIGLIATA DAI “LENTI”
Fatto strano, oltre l’anno 2000, è nata a Siena la “Accademia dei Lenti” o “Circolo dei Lenti”, che si unisce al “Bar Il Palio” in Piazza del Campo, dando vita ad un caffè letterario sul tipo delle “Giubbe Rosse” a Firenze o il “Caffè Greco” a Roma. Un bel gruppo di cittadini che nella vita privata sono impegnati quotidianamente in diversi settori lavorativi e che al pomeriggio si trovano al “Bar Il Palio” a discutere di cultura, organizzare gite, presentare nuove pubblicazioni letterarie, organizzare mostre di pittura. I “Lenti” organizzati con tanto di statuto e presidente hanno dato vita ad una sorta di “scapigliatura” artistica libera, fuori da ogni logica di carattere politico. Ci giunge dai “Lenti” un invito per l’inaugurazione della mostra di pittura “Alberi” della pittrice Inge Lise Rasmussen, una signora danese, residente nella nostra città da anni, nella vita privata docente di Lingue e Letterature Scandinave presso l’Università della Tuscia, a Viterbo, e di Lingua Tedesca presso l’Università degli Studi di Siena.
“Alberi” (è il titolo della mostra), racchiude in sé molte impressioni custodite sin dall’adolescenza dalla pittrice danese nel suo “io” interiore di immagini e paesaggi del nord rivisitati con la memoria e con rinnovate sensazioni da quelli caldi e magici delle nostre terre toscane. Una pittura pensata con fantasia. Immagini di piante mediterranee, comunicate attraverso emozioni leggere, luminose, ricche di poesia, basate su una tavolozza dove impera l’intera gamma di colori attraverso la tecnica dell’acquerello o mista, usata con rara maestria. Una pittura mai scontata. Un caffè letterario, quello dei “Lenti”, che ci accoglie così come siamo accolti a Roma o a Firenze al “Caffè Greco” o alle “Giubbe Rosse”. Un modo di ritrovarsi di questi associati, all’insegna dell’amicizia per comunicare e rafforzare valori umani assieme a quelli culturali.
Gilberto Madioni
Critico d’arte
Febbraio 2004
UN RAPPORTO INCANTATO CON LA POESIA
Quello che più mi ha colpito, vedendo per la prima volta i quadri di Inge Lise, è che la sua pittura sembra fatta veramente della consistenza dei sogni, ma non nel senso che sia la riproduzione espressiva di esperienza onirica, ma nel senso di un atteggiamento di decostruzioni di stati sognanti o vagamente “magnifici” provocati da un rapporto incantato con la pittura. È come se i supporti e la scelta prevalente della tempera e l’accompagnamento delle tinte servissero a togliere materia e la libertà dei colori e il prevalere del tinteggiare sul disegnare accentuassero le evanescenze e le atmosfere.
Si è parlato di una evocazione di fiabe. Sono più le favole ricavabili dalla pittura che dalla realtà: un bosco in Provenza non è più un luogo d’incanto, ma il boschetto della Provenza dipinto da Cézanne, fatto di piante dipinte, capace ancora di generare un incantesimo e suscitare nuove forme di rappresentazione. Così gli omaggi a Cézanne, o a Gauguin o a Hokusai, riducendo il formato, alleggerendo il supporto e schiarendo le tinte, provocano il risultato di un effetto di sogno, e ciò che la pittrice sogna e rende più favolosa non è la realtà di un bosco o di un gruppo di alberi, ma l’irrealtà già in sé di un dipinto rievocato o la meditazione sentimentale su un colore… Più intensamente Inge Lise guarda agli alberi o alle bagnanti di Cézanne e dipinge ciò che quel dipinto può fare sognare: così tra le verticali degli alberi Inge Lise fa scaturire la silhouette di volti o indovina in lontananza l’azzurro di un mare meraviglioso. Tutto questo infittisce la fantasticheria dei colori e dei decori del modello, lo varia e illustra, letteralmente, vi sogna sopra. Invece quando esplicitamente la pittura di Inge Lise si rapporta alla realtà, questa realtà diventa incolore, cioè la visione diretta di una immagine individuata, come ad esempio nel Ritratto di donna o nell’Omaggio a Catherine Deneuve, risulta cromaticamente sterile, nel senso che quella figura è veramente ciò che i suoi occhi vedono e non una realtà trasfigurata dal sogno. È perciò interessante vedere quale è il rapporto che Inge Lise instaura fra pittura e poesia, fra colore e parola. Se i suoi paesaggi e figure sono pieni di poesia, si può dire che la sua poesia è essenzialmente pittura, un “disegnare a parole” (“disegnare a parole è anch’essa un’arte”, diceva van Gogh), così che pittura e poesia, colore e parola, finiscono per richiamarsi e intrecciarsi nel comune dire la realtà per macchie di colore, nell’operare cioè un’identica metamorfosi: quella della realtà in sogno, un sogno capace di esorcizzare ogni visione negativa del mondo, ogni assurdo, e di attingere nella trasfigurazione dell’arte quell’anima segreta della realtà, ossia quell’invisibile che presagisce e annuncia che tutto è più miracoloso di quanto con i soli occhi si possa vedere o con la semplice ragione comprendere. Più che riprodurre la realtà come è in sé, è il quadro – dice Rilke nelle Lettere a Cézanne – che “tiene in equilibrio la realtà”, che costringe le cose a “farsi realtà”, a essere belle, liete, un forzarle a significare un mondo di felicità che non muta, a svelarsi nel loro misterioso splendore al di fuori del tempo: tutto è penetrato di luce e di colore e trasfigurato in un linguaggio segreto. I quadri così si raccontano come una fiaba nella poesia e la poesia accende di nuova pregnanza di significato la luce e il significato dei quadri. E se è vero, come dice ancora Rilke, che “è il colore a fare la pittura”, qui il colore domina non solo nella pittura, ma si estende e filtra anche nella poesia, come se tutto si trasformasse in una questione interna di colori. Il colore diviene così il principio della rappresentazione: “dipingere – diceva Cézanne – non è copiare l’oggetto, ma è realizzare le proprie sensazioni. Dipingere è registrare le proprie sensazioni colorate.” In questa registrazione l’immagine acquista un’esistenza propria che apre al dire della poesia e nella parola della poesia attinge una consapevolezza nuova del mistero che si nasconde in ogni cosa perché tutto, per chi lo sa guardare, è “pieno di significato”, come dirà van Gogh, e aggiunge: “che la gente possa dire delle mie opere: ‘sente profondamente, sente con tenerezza’”.
Questa profondità di sentire, questa tenerezza nel guardare le cose, che ha ancora la capacità rara di stupirsi e di sognare, è forse anche la dote più bella e più vera che traspare dalla pittura e dalla poesia di Inge Lise, dove la bellezza sognante delle immagini e la levità gentile delle parole hanno il potere – o la magia – di suscitare anche in noi la speranza di un mondo nuovo, trasfigurato unicamente nei colori del bene e che questo non sia soltanto un sogno o una nostalgia.
Anna Quinzio
Docente di Estetica presso l’Università di Perugia
Novembre 2001
C’è soltanto una cosa che vale nell’opera d’arte ed è quella che non si riesce a spiegare. Sono parole di Georges Braque. Partendo da esse è più facile avvicinarsi all’arte e lasciarsi coinvolgere da ciò che si vede, perché in pittura, si sa, ciò che si vede è quello che è. La realtà pittorica, dunque, si pone nuda all’attenzione di chi guarda e richiede solo di essere osservata per le sue forme e le relazioni che queste instaurano in base alle dimensioni, all’intensità cromatica e all’unitarietà tonale nel contesto spaziale che è il quadro d’insieme fatto di luci e di ombre.
Se così è, la pittura di Inge Lise Rasmussen è di agevole lettura, essendo le forme ed i colori o, meglio, le forme di colore realizzate in modo funzionale alla ripartizione armonica degli spazi, con giuste tonalità in rispetto sia dell’intensità che della estensione delle tinte. Siamo, quindi, di fronte ad un linguaggio pittorico sostenuto dalla conoscenza delle regole di grammatica, per cui viene meno l’esigenza critica di fare analisi del particolare per spiegare l’articolazione strutturale del discorso più in generale. Non resta, pertanto, che guardare e lasciarsi andare da un dipinto all’altro, seguendo le connessioni tra più brani espressivi nell’accentuarsi e attenuarsi di cromie, che si richiamano in un continuo seguitare nell’opera di Inge Lise Rasmussen, costituendo la chiave di lettura del suo mondo pittorico, molto originale nella apparente semplicità.
Guardando e riguardando, i suoi fiori, le sue figure umane e i suoi animali, mi pare di poter dire che la pittrice persegua un intento di ricerca iconica scandagliando nel subconscio, in ciò sorretta da studi fatti sulla letteratura fiabesca e da saggi scritti su vari autori, in particolare H.C. Andersen, per cui ogni approdo all’immagine assume il valore di un ritrovamento nella memoria. Questo modo di operare le consente di essere libera sia dagli schemi tradizionali di figurare, sia dalla convenzionalità della rappresentazione, in favore della proposizione di una espressività pittorica che sa molto di mistero e di favola. In questo senso vanno interpretate quelle immagini che paiono liberarsi dagli intrichi delle macchie di colore per recuperare un’identità formale in funzione della comunicazione di un messaggio che, comunque, resta ambiguo e che non si riesce a spiegare. Si torna, così, alla citazione di Braque.
D’altronde, che vogliono dire quei tralci di vite, quelle feste di grano, quelle figure e quei volti di donna impregnati nella carta acquerellata con toni trasparenti come aria? Vogliono dire la stessa cosa dei paesaggi, delle nature morte, dei fiori, delle marine, dei rami che formano arabeschi inesplicabili, delle foglie che sono spicchi di verde tremolanti nel cielo? I quadri di Inge Lise Rasmussen, come tutte le opere d’arte, vogliono dire ciò che ognuno di noi, guardando, con intima corrispondenza trova in se stesso.
Giuseppe Ciani
Pittore e critico d’arte
Novembre 1999
Scrive Günter in un articolo pubblicato su La Repubblica, 7.11.1999: “Bianca è solo la carta. Deve essere macchiata quindi, animata con tratti decisi o incerti, oppure occupata da parole, che raccontano la verità in maniera sempre nuova e diversa”.
Conosco Inge Lise Rasmussen da molti anni, data la nostra comune origine e simile storia, e so che Inge Lise da giovane non dipingeva. Studiava, ricercava e lavorava con metodo energico ed inarrestabile determinazione. Il suo curriculum rende conto di notevoli risultati sia nel campo degli studi, sia nel campo delle ricerche che hanno trovato sbocco in numerose pubblicazioni.
Solo in età più matura la Rasmussen ha cominciato a dipingere, all’inizio per divertimento, diceva, ma sospetto che il fatto dimostrava un’ulteriore segno di curiosità e voglia di ricerca. Vedevo, infatti, in rapida successione nascere un numero di quadri diversi fra di loro sia per contenuto iconografico, sia per tecnica ed intonazione cromatica. Molti di essi dimostravano (giacché l’arte svela l’autore più della pubblicazione scientifica) lati del carattere e della sensibilità della mia amica che prima conoscevo poco, perché Inge Lise di solito non li dava a vedere.
Ora scopro una nuova forma espressiva della Rasmussen: le poesie, che mi sono parse una vera e propria chiave di lettura dei suoi quadri. Leggendo le poesie ho capito che i quadri di Inge Lise sono poetici nel loro sforzo di fissare o cristallizzare emozioni dell’anima che si basano su momenti vissuti o immaginati. L’autrice non cita l’esperienza visiva in una semplice interpretazione pittorica naturalistica, anche se la natura è punto di partenza della sua pittura; ma indaga piuttosto con rispetto o curiosità quasi timorosa sulle parti visive che stanno alla base dell’emozione, e che per l’emozione stessa subiscono una trasfigurazione ‘sognata’, fiabesca.
Non vorrei insistere oltre al dovuto sul fatto che la Rasmussen, essendo danese, possiede quella particolare eredità nazionale e culturale che è costituita dalla figura e dall’opera di H.C. Andersen che, peraltro, è stato oggetto di continua ricerca e pubblicazioni da parte di Inge Lise. Vorrei però ricordare H.C. Andersen non solo come scrittore di incantevoli fiabe, ma di libretti di teatro e di diari corredati da disegni che fermano, fissandole, immagini colte perché percepite come particolarmente emozionanti. Credo che gli scritti (scientifici e poetici) della Rasmussen come i dipinti (non a caso tecniche miste) riguardano, come un diario speciale, il viaggio interiore che l’autrice sta compiendo, scoprendo, attraverso un’intima ricerca, le proprie emozioni ed i mezzi per comunicarle: emozioni che sono leggere, luminose, poetiche, raramente malinconiche ma spesso riflessive come quelle di un essere umano che, guardando, toccando e sentendo, si meraviglia degli aspetti lirici ma naturali del mondo.
Nell’arte di Inge Lise Rasmussen la poesia e la pittura si intrecciano esprimendo in maniera diversa i medesimi sentimenti. Le poesie, che evocano colori e disegni sfumati, sono piccoli quadri, ed i quadri sono poesie colte in un’unica strofa per rendere visibile l’incanto esteso ad un segmento di tempo.
Bente KIange Addabbo
Docente di Storia dell’Arte Medievale presso l’Università per Stranieri di Siena
Novembre 1999
Credo che il nord più distante abbia una magnetica attrazione verso sud, verso i colori e le luci del sud, e arricchisca i bianchi, i grigi e i verdi intensi della sua tavolozza dell’immaginazione luminosa di cui è carico il ricordo del Mediterraneo. A Goethe bastava varcare le Alpi per sentire il richiamo di questa diversità. Inge Lise Rasmussen, che in questa diversità si è accasata facendone il suo quotidiano, ha rivolto il gioco delle emozioni nella fragilità dell’acquerello. Le forme in questo caso hanno una dominanza molto relativa, sbocciano e si riverberano dall’alea fluida del colore, precarie e volatili, alludono con grande discrezione e misteriosi richiami e lasciano aperta l’immaginazione.
È più semplice perdersi, forse, nell’accenno di un bosco o di una fioritura primaverile, più complesso e inquietante interrogarsi su teorie di figure in cammino, sospese su pontili che non sappiamo dove attracchino, e dove invece si avventurino in mare. Ho pensato, in una delle composizioni a tecnica mista piene di figure in cammino, ad un’ennesima Venezia, ma una Venezia carnascialesca e quindi ancora più segreta, una Venezia di bautte, cappelli e mantelli, che nascondono le facce e gli sguardi. O mi sono figurata un medio evo da Simone Martini, nel cavaliere del manto rosato che scappa via sul cavallo al galoppo. Un Guidoriccio da Fogliano che abbia perso la compostezza della sua missione, e vada sfrenando la cavalcata della sua bestia non più tra le colline concrete e ben definite del Senese, quanto piuttosto in una strana aria sospesa, un cielo dei pallori questa volta nordici, che ricordano le aperture severe dello Jutland, l’aria sferzante del mare del Nord.
È curioso come uno spirito razionale e determinato quanto quello che conosciamo nella Rasmussen scrittrice e critica possa rompere con il proprio stile, con i propri strumenti analitici e scivolare, nella sfera del dipinto, in un altro universo, apparentemente meno controllato di quello della parola di cui fa uso normalmente. Ma in questo apparente abbandono alla fantasia, in questo gioco creativo di immagini riflesse si sviluppa l’altra metà del suo carattere, quella in cui la dominante fiabesca trova modo di raccontarsi senza tradire il versante logico analitico. Sulla carta Inge Lise Rasmussen scrive e dipinge: cioè analizza e sintetizza secondo due percorsi volta a volta autonomi e complementari, secondo il respiro delle sue due nature, capaci di sezionare il particolare della parola, quando occorre, e di diffondere invece l’insieme delle immagini, quando l’abbacinante presenza del sole gioca a creare nelle pupille il pieno dei colori e a sgranarli poi in una pioggia dilavante di luci.
Marta Morazzoni
Scrittrice
Dicembre 1999
Inge Lise Rasmussen trasferita in Italia, con punto di residenza a Siena, è da anni molto attiva nel far conoscere la letteratura e la cultura danese in Italia e la letteratura e la cultura italiana in Danimarca. Le mostre di pitture sono state le ultime ad arrivare, per cui Inge Lise Rasmussen soprattutto è nota al grande pubblico danese ed ai suoi colleghi italiani per il suo grande numero di traduzioni e di monografie. In questa occasione voglio soltanto ricordare i libri intorno alle vie di Giovanni Jorgensen in ed intorno a Siena, il libro su Karen Blixen e il libro su Friederike Brun. L’ultima visse tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘800, e ovunque lei soggiornasse in Italia, in Svizzera, in Germania o in Danimarca, a casa sua lei riunì gli artisti e le altre persone di cultura europei dell’epoca. La comprensione per i legami che nonostante le tante differenze possano essere legate, grazie alla formazione del cuore e alla profonda comprensione per la natura e le condizioni dell’umanità, è la stessa sia nelle poesie di Giovanni Jorgensen, nei racconti di Karen Blixen e nelle poesie di Friederike Brun.
E se ho ben capito Inge Lise Rasmussen, sono proprio questi valori fondamentali che lei cerca di esprimere nei suoi quadri. Si tratta di una ricerca intuitiva che può essere in grado di dare apertura alle potenzialità subconscie ed inconsapevoli. Inge Lise Rasmussen fa uso del colore della natura, del cielo, del mare, del bosco e della terra, e trova il mondo sognato della natura e delle atmosfere in fantasie paesaggistiche, nelle quali alcune figure o interi gruppi si formano e fanno da base al viaggio dell’osservatore entro luoghi sconosciuti.
Lei conferma le parole di Cennino Cennini quando dice che la pittura richiede sia voglia sia attitudine a cercare le cose invisibili, che si nascondono sotto l’ombra delle cose reali; e fissando questi con la mano dimostra che quello che non c’è (cioè quello che non è visibile con l’uso dell’occhio nudo soltanto), nonostante tutto, esiste.
L’attitudine analitica e quella intuitiva potrebbero sembrare due poli opposti, ma non lo sono necessariamente. Piuttosto vanno visti come due punti di partenza differenziati per coprire un bisogno, in un periodo complicato e frammentario, per poter fermare delle espressioni estetiche fisse ed ottenere sia una comprensione sia una gioia comune. Sono sempre stata convinta che in un’opera d’arte non ci sia niente di casuale. Può nascere qualcosa di nuovo, qualcosa di non aspettato, o di non previsto per un caso, ma quello che rimane nell’opera non è per niente casuale.
È un vecchio luogo comune che le persone del Nord agiscono in modo razionale ed analitico (altrimenti come farebbero a sopravvivère in una natura così inumana); mentre le persone del Sud agiscono in modo irrazionale, impulsivo ed intuitivo. Ma con questa mostra presso l’Istituto di Cultura italiana questi vecchi pregiudizi vengono capovolti, a causa della rappresentazione intuitiva del motivo da parte di Inge Lise Rasmussen.
Questa mostra evidenzia, inoltre, l’ispirazione fertile e reciproca tra due poli culturali diversi.
Hanne Marie Ragn Jensen
Docente di Storia dell’arte dell’Università di Copenaghen
Febbraio 1996
LA SPIGA ED I PAPAVERI VOLUTI DA INGE LISE
Questo Palio di Inge Lise Rasmussen proietta ancor più il Palio di Casole d’Elsa in una dimensione internazionale; perché l’autrice, come è successo altre volte, pur vivendo a Siena da molto tempo, affonda le sue radici in una cultura nordica, nemmeno tanto mitigata dalla frequentazione dell’arte italiana.
Conosco abbastanza la pittura di Inge Lise per poter affermare questo. Infatti, neppure le delicate trasparenze d’acquarello, riescono a mimetizzare forme plastiche e solide, che spesso si addensano o si slabbrano in ritmi e motivi espressionisti. Anche questo palio del ‘95 interpreta gli stessi temi e uguali modi. Vi prevalgono gli elementi terreni: i cavalli, che sono i principali protagonisti di ogni Palio, e questo enorme prato fiorito, galleggiante di spighe feconde e punteggiato da enormi papaveri. Il richiamo alla campagna è quindi ostentamente presente e non una campagna qualsiasi, bensì colta nel momento della sua massima fertilità. Una campagna opima, grassa, che poi è quella che fa da sfondo al Palio di Casole, ogni anno, e quella ancora che ogni agricoltore, raccomandando le sue messi a S. Isidoro, vorrebbe, ogni anno, vedere. La spiga, d’altra parte, è il simbolo stesso dell’agricoltore. Il dono della spiga, di Demetra, dea della Terra, a Trittolemo è simbolico della nascita dell’agricoltura e della sua diffusione tra gli uomini. È questo un mito greco tra i più noti e più diffusi nell’area mediterranea e quello che sta alla base dei Misteri Eleusini, importantissimi per la vita dei greci, ma ancora oggi studiati per i loro reconditi riti. Anche S. Isidoro è un santo mediterraneo. Già il suo nome proviene dal greco e significa “dono di Iside”, dea egiziana della fertilità. Il santo viene poi in Spagna dove operò miracoli modesti, ma efficaci e tutti legati alla conduzione dei campi e all’ottenimento di buoni frutti da essi. Su come poi si è potuto sviluppare a Casole il mito di Sant’Isidoro, è ben spiegato nel bel libro che Inge Lise Rasmussen e Bente Klange Addabbo hanno dedicato alla festa di Casole e non occorre che ci torni sopra.
Mi preme però sottolineare la particolarità che, a costruire la storia del Palio di Casole e a fornire ad essa un supporto antropologico-rituale, si siano occupate due studiose provenienti dall’estremo Nord dell’Europa come la Klange e la Rasmussen. Ma tutto questo non è un paradosso: “Non havvi perfezione senza ibridazione” affermava Leonardo da Vinci, ed è proprio dalla mescolanza, dalla curiosità del cosiddetto straniero verso una realtà a lui estranea, che si ottengono i frutti migliori, i risultati più soddisfacenti. Il bel Palio di Inge Lise si inserisce decisamente in questa logica. È un occhio soddisfatto ed ottimista, il suo, che annega le forme in un mare di grano maturo, mentre il punteggiare violento di enormi papaveri ci ammonisce della caducità di una bellezza prorompente, ma effimera. C’è poco di vichingo nel Palio di Inge Lise: magari un bisogno di trasparenza che non riesce a rendere eterea una lussureggiante visione mediterranea, ma certamente è riuscita ad interpretare adeguatamente lo spirito che sta alla base di questa festa, non solo da quando si corre il Palio di Casole, cioè da più di un secolo, ma sicuramente anche da molto tempo prima.
Mauro Civai
Direttore del Museo civico di Siena
Luglio 1995
NARRATRICE DI FAVOLE PRESSO IL MUNICIPIO DI SOLRØD
L’esposizione della pittrice, scrittrice e ricercatrice Inge Lise Rasmussen (marzo 1995)
Non si tratta di un’esagerazione quando, nel sottotitolo, attribuisco a Inge Lise Rasmussen addirittura tre titoli. Lei lavora attivamente in vari campi; ha, per esempio, lavorato come interprete presso il Parlamento Europeo ed ora è ricercatrice di letteratura presso l’Università degli Studi di Siena. E trova addirittura il tempo per dipingere. E lo sa fare bene, perché la sua mostra è tra le migliori che abbiamo visto qui nella zona. Non ci sono dubbi sulla sua capacità di raccontare favole. I suoi quadri ci fanno pensare alle Mille e una notte, oltre ad antiche saghe, miti e leggende. Certi dipinti fanno pensare a quadri di santi e pittura da chiese.
La sua attitudine verso i colori varia parecchio e lo stesso vale per la sua scelta di cose da dipingere. Qui si trovano quadri con molte figure, ma anche molti con una o due soltanto; e in un’opera, che io in un primo momento vedevo come astrazione pura, all’improvviso sono spuntate fuori due figure di donne. Lei è una vera maestra nelle sorprese e anche la sua tecnica è davvero speciale. Ha da fare con dei pennelli molto piccoli e molto fini, e su grandi piani fa uso di una tecnica a puntini, la quale, però, non ricorda quella di cui fecero uso gli ultimi impressionisti; è del tutto personale, tutta sua.
Ci sono molti quadri esposti alla mostra, per cui diventa difficile metterne qualcuno in evidenza, e questo soprattutto perché non c’è neanche uno che non vale. Ma c’è un’unità formata da tre quadri, che in modo particolare coglie la mia attenzione, tre quadri che, nonostante la presentazione senza sequenza numerica, formano un’unità armoniosa. Sono i numeri 2, 17 e 22. Quello centrale mostra degli storti alberi mediterranei esposti al vento, mentre intorno ci sono due paesaggi molto semplici e molto belli.
Hugo Gammelby
Pittore, critico d’arte
Marzo 1995